La figura di Marilyn Monroe, icona di stile degli anni Cinquanta, è uno dei modelli da studiare quando ci si approccia al mondo del burlesque. Amata, detestata, ammirata, dibattuta, ma sempre – e con attenzione! – guardata, ha saputo porsi come punto di riferimento non soltanto per quanto riguarda il modo di posare o fare spettacolo, ma anche e forse soprattutto per uno stereotipo, un piccolo gioco delle parti che ogni neofita del palcoscenico interpreta, prima o poi: la svampita.
La leggerezza di Marilyn Monroe
Nel mondo del burlesque, scegliere il proprio nome d’arte significa indossare i metaforici abiti di un personaggio; questi abiti sono cuciti in parte sulla performer e in parte su un desiderio. In Marilyn Monroe, personaggio scelto da Norma Jeane Baker per interpretare una diva, è forte il desiderio della leggerezza, che eleva da terra e porta in alto. Forse, oggi più di ieri, è facile scambiare per ‘svampito’ ciò che, semplicemente, è lieve. Quel che resta di lei non è la battuta facile ‘da bionda’, ma il ricordo etereo e inafferrabile di un mondo che ha voluto e avuto per intero.
Come ogni artista, Norma Jeane ha costruito tassello dopo tassello quel rompicapo bellissimo che era Marilyn Monroe. Quanto queste due personalità andassero d’accordo non è dato saperlo. Invece, quel è certo è che lo stesso mondo fortemente voluto dalla pin-up più bella di tutti i tempi, è stato anche l’artefice della sua condanna.
Essenza o stile?
C’è una linea sottile, nella vita di Marilyn come nel burlesque, che divide la performer dalla performance. È giusto un colpo di tacco, un ondeggiare d’anca, quel movimento che trascina il corpo e confonde i contorni. La domanda, da qui, è una sola: quand’è che si smette di distinguere l’artista e il suo prodotto?
La stessa oggettificazione massiccia che ha portato in alto la bellissima Marilyn, facendone uno dei sex symbol nella sua versione più assoluta, di ideale, è stata anche ciò che l’ha svuotata della sua identità e che ha fatto in modo che, spesso, lei non pretendesse di più dallo sguardo altrui.
Talvolta, nel mondo della performance, delle piume e della sensualità, il rischio è proprio questo: lasciare che lo spettatore si accontenti di un bel movimento, senza chiedersi quale sia la natura generatrice di quell’atto. Che identifichi la performer con il personaggio che interpreta, dimenticando l’artista che ha creato il tutto.
Conoscersi per conoscere
Il burlesque è arte e, come tale, è intrattenimento. Godere dello spettacolo è il primo passo per una riflessione più ampia, di quelle che non ti lasciano quando torni a casa. C’è sempre qualcosa che va al di là della bellezza, e una volta colto, sarà impossibile oggettificare, confondersi, perdersi. Avere chiari confine e messaggio è compito dell’artista; coglierlo, un’opportunità per dimostrarsi esseri umani migliori.
Sissi Tresor