In tempi di gay Pride ci teniamo a pubblicare un reportage su uno spettacolo molto particolare, speciale, emozionante. Non è burlesque, ma è sempre uno spettacolo fatto di donne che si mettono in gioco, che manifestano i loro sentimenti, i loro intenti di dare una svolta alla loro vita per un nuovo cammino, quindi ci piace.
Il 29 maggio è andato in scena, con la regia di Francesca Tricarico, dentro il carcere femminile di Rebibbia “Ramona e Giulietta” ispirato dalla piece di William Shakespeare, ma con qualcosa in più, una volontà a spiegare e far conoscere la realtà di come vivono l’omosessualità le detenute.
Sentire il cancello di un carcere chiudersi dietro le spalle è di notevole impatto emotivo, anche quando sei lì per assistere a qualcosa di artisticamente comunicativo. Il teatro della casa circondariale era sold out, vi era nell’aria un’attesa mista ad emozione. Il carcere di Rebibbia è stato il primo luogo dove si è celebrata un’unione civile fra due donne, il progetto teatro è una delle iniziative che propone per riabilitare alla vita le detenute all’interno della sua struttura.
Quando è cominciato lo spettacolo, una voce intonava un vecchio stornello romano, cantato in passato da Gabriella Ferri, seguita dall’ingresso di un personaggio molto alternativo in cerca continua di dolci ed in un susseguirsi di battute divertenti, piano piano si sono aggiunti tutti i personaggi che hanno dato vita alla storia di “Ramona e Giulietta”, che, come gli originali “Romeo e Giulietta”, hanno sofferto per il loro amore, per tenerlo in vita, perché quando sono due donne ad amarsi, all’interno di un carcere non tutti sono d’accordo in merito alla loro unione e la loro storia diventa motivo di scontri, discussioni fino a portare all’esilio di una delle due protagoniste, con conseguente sofferenza e tristezza di entrambe .
L’istituto di pena è un mini mondo, composto in piccolo da tutto ciò che c’è fuori di quella realtà, ma spesso è vissuto con tale intensità da essere temibile sotto ogni punto di vista: si vive in totale simbiosi, con orari sospesi, in un lento, ma veloce passare del tempo che spesso si dilata fino a diventare infinito. L’amore non fa differenza di sesso, se nasce e s’ infiamma non sente ragioni né pregiudizi. Questi ultimi, spesso rovinano l’esistenza di chiunque ci si ritrovi a combattere, minano la vita con la volontà di piegarla a concetti e preconcetti che nulla hanno di sano e libero. Nel silenzio il pubblico guardava le attrici muoversi, parlare, cantare, mi sono trovata spesso a sorridere, emozionarmi, e alla fine commuovermi, perché l’amore non conosce catene neppure in carcere.
Bravissime le attrici che hanno portato in scena un pezzo di vita quotidiano all’interno di una struttura di detenzione, invitandoci a riflettere, considerando aspetti che spesso vengono ignorati perché non fanno parte del nostro vissuto giornaliero e che invece sono fonte di tristezza e dolore fuori e dentro la casa di reclusione.