Il burleque visto da Anna Volpi, 17° “Non-Performer Chart” nel “Burlesque TOP 50 2016″!
Chi orbita nel burlesque avrà sicuramente intercettato nella narrazione di questo mondo le foto di Anna Volpi. Piccola ma tosta, mora e sorridente, da qualche anno è una delle fotografe di burlesque più apprezzate in Italia. Il suo lavoro molto amato da performer e addetti ai lavori le ha fatto guadagnare il 17° posto nella “Burlesque TOP 50 2016: Non-Performer Chart”.
Burlesque News l’ha incontrata per saperne di più e per conoscerla meglio.
Iniziamo dalla notizia dell’anno: ti sei classificata 17° nella “Burlesque TOP 50 2016: Non-Performer Chart”. Un grande riconoscimento. Te l’aspettavi?
No, non me l’aspettavo! Sono felicissima del risultato, è un grande onore. Voglio ringraziare tutti coloro che mi hanno dato questa possibilità e si sono fidati di me, in particolare la Silk Ribbon Cabaret Team e Burlesque & Cabaret Verona. Persone splendide e piene di talento. Hanno reso il mio lavoro davvero piacevole. Il 2016 è stato un anno difficile sotto molto aspetti ma anche pieno di riconoscimenti e nuove avventure per me, non solo nel burlesque, ma anche nella mia fotografia contemporanea, specialmente con Fumo Gallery. Questa classifica è stata una bella chiusura!
Sei una delle più famose fotografe di burlesque. Come ti sei avvicinata al burlesque?
Mi è sempre interessato come intrattenimento e arte. Dopo averlo seguito per anni come spettatrice ho alzato il telefono e ho chiesto a Burlesque & Cabaret Verona se avessero bisogno di una fotografa. E’ così che mi sono avvicinata, poi sono rimasta perché’ mi sono sentita a casa. A me non importa solo consegnare belle foto, voglio anche condividere gioie e difficoltà, lavorare per promuovere questa arte e vedere i successi delle persone a cui ora voglio bene.
C’è un aspetto in particolare del burlesque che ti piace fotografare?
Gli spettacoli sono sempre una sfida emozionante da fotografare, ma adoro molto anche il backstage. I momenti prima dello spettacolo, il trucco, gli imprevisti, le risate, i dettagli. E anche il dopo, i brillantini ovunque, le foto di gruppo con l’adrenalina a mille. Ci sono anche momenti più quieti, quando fotografo le performer in studio. Questa è una fotografia più intima e di altro genere, ma che mi dà tanta soddisfazione come gli eventi. Ogni performer è diversa dall’altra, e trovare le loro particolarità mi incanta.
La performer o il performer che hai amato fotografare di più?
Non posso sceglierne una! Premetto che ogni performer mi ha regalato delle gioie, ma quelle che poi si sono trasformate nelle foto più sensazionali sono Nuit Blanche, Albadoro Gala, Lady Wildflower, Jett Adore.
Il femminile è un universo che ti interessa fotograficamente: come mai?
Forse perché’ è quello che conosco meglio. L’essere in questo mondo come donna. Particolarmente come donna che ha una discreta componente maschile. Mi intriga molto il concetto di genere e gli argomenti correlati, appunto cos’e’ “l’essere donna” e “l’essere uomo” in questo periodo storico. Penso anche che il mio modo di fotografare le donne sia un modo per mostrare una parte di me stessa attraverso i miei soggetti. Dopo che ho pubblicato il mio progetto Flower, sulle mestruazioni, molte persone mi hanno dato l’etichetta di femminista. Ma veramente non mi sono mai identificata come tale.
Il 28 Gennaio 2017 dalle ore 10:00 alle 18:00 a Roncoferraro condurrai insieme a Immagini D-amaS+ il workshop “Women’s Stories”. In cosa consisterà? Per chi è?
E’ rivolto a fotografi professionisti e non, ma non coloro che sono alle prime armi. Bisogna sapere le basi e usare bene la strumentazione. Io e Rossella di Immagini D-amaS+ vorremmo guidare i partecipanti nel sentire la fotografia piuttosto che farla. E’ molto più semplice lavorare solo sulla tecnica, invece che sforzarsi di aprire i rubinetti creativi. Noi abbiamo un approccio teatrale alla fotografia, per noi è importante avere un’interazione con il soggetto, il luogo, ed eventuali accessori. Non mettiamo i soggetti in posa, diamo loro motivi per muoversi, per arrivare ad avere un’espressione che è veramente loro. Una foto fatta bene di una bella ragazza riescono a farla in milioni, ma quanti riescono a creare una storia che vada oltre i margini della foto? Vogliamo spingere i partecipanti fuori dalla loro comfort zone per scoprire un altro modo di fotografare.
Hai qualche fotografa/fotografo di riferimento?
Erwin Olaf mi fa venire i brividi ogni volta. Lui è un master nel creare storie nel silenzio degli sguardi dei suoi soggetti. Gregory Crewdson, anche lui con i suoi racconti in immagini singole. Prue Stent per l’estetica e la stranezza intrigante. Juno Calypso, anche lei strana e unica.
Ma Anna Volpi quando ha scoperto la fotografia?
Anna Volpi aveva 18 anni quando ha preso in mano la Olympus Om2 di suo padre e non ci capiva niente. Ma aveva bisogno di fotografare. Dopo tanti rullini in giro per il mondo ha fatto il salto ad una fotografia più “professionale” e digitale, lavorando per altri (ora ci capiva bene). Ma Anna Volpi fotografa è nata pochi anni fa, quando la fotografia e’ diventata per lei difficoltà, sofferenza, esitazione, paura, fallimento, esasperazione, insicurezza, ansia. Perché’ è solo attraversando tutto questo che ha cominciato e continua a scavare veramente e rappresentare in immagini tanti mondi, pensieri, sogni, realtà, bisogni.
Cosa ti piace della fotografia?
Quando tolgo le scarpe prima di un set. Quello che sento mentre creo. Quando perdo il senso del tempo. Quando devo togliermi strati di vestiti perché’ mi sale l’emozione e l’adrenalina. Quando riesco a raggiungere il profondo di un soggetto. Quando scopro la fotografia che un soggetto ha già dentro di sé. Finire un set con un sospiro e il sentimento che in quelle ore è successo qualcosa di unico, che è esistito solo in quel momento e che non si ripeterà. Vedere il lavoro di altri. Vedere vecchie stampe. L’odore di una camera oscura. Poi ci sono tante cose che odio della fotografia. La maggior parte delle mie ansie vengono dalla fotografia, ma non ne posso fare a meno.
Qual è il progetto fotografico nel cassetto?
Sono anni che la mia mente gira intorno all’idea della percezione. Un momento può essere vissuto in modi infiniti. L’idea che basta cambiare un piccolissimo dettaglio di un’immagine per creare una storia completamente diversa. Ho fatto dei disegni per ora e scritto delle note. Penso che il mio nuovo spazio fisico, Studio Meraki, creerà anche lo spazio mentale per affrontare questo progetto.